Gli Strumenti Proiettivi: Test o Tecniche?

di Loretta Sapora

Attorno alla metà del secolo scorso, lo psicologo David Rapaport formulò la cosiddetta "ipotesi proiettiva generale", secondo la quale "le manifestazioni del comportamento dell'essere umano, da quelle meno significative a quelle più significative, sono rivelazioni della sua personalità, vale a dire del principio individuale del quale è portatore".

In effetti, quindi, ogni espressione individuale (dal modo di parlare a quello di vestire, dal comportamento alimentare allo stile di gestione delle relazioni, dalla filosofia di vita ai contenuti dell'immaginario) trasmette indicazioni e messaggi preziosi a proposito della personalità e delle particolari "modalità di funzionamento" della psiche di quella persona che sta appunto, attraverso il suo agire, esprimendosi.

I test proiettivi sono, tra gli strumenti a disposizione degli psicologi, quelli che consentono loro di conoscere, con la maggiore efficacia, rapidità e scientificità possibile, il mondo interno delle persone attraverso l'interpretazione di quei particolari e significativi "frammenti" del loro comportamento che appunto vengono messi in atto durante l’esecuzione del “compito” proposto dal test.

La caratteristica fondamentale di uno strumento proiettivo è l’utilizzo del linguaggio analogico: le immagini, appunto.

Si può trattare di immagini che la persona è invitata a disegnare, come nei test grafici (uno dei più noti è il Test dell’Albero di Karl Koch), o immagini-stimolo (più o meno strutturate) presentate alla persona perché lavori con esse in modo associativo/interpretativo, come nel famoso Test delle Macchie di Rorschach.

Nel disegno dell'Albero viene chiesto al soggetto di disegnare, per l'appunto, un albero, senza alcuna altra indicazione specifica: in questa grande libertà espressiva, la persona disegna proprio il "suo" albero, quello cioè capace di raccontare qualcosa di importante della sua storia e della sua interiorità.

Alessandra Rapetti, nel suo testo “Il ritratto psicodinamico” (Fefé Editore, Roma 2023, pp. 262-263), arricchisce il lavoro sul tema dell’Albero chiedendo al paziente di disegnare, dopo il primo Albero, un Albero Immaginario “che non esista nella realtà come il precedente, ma che sia totalmente inventato da lui” e poi a seguire un secondo Albero Immaginario “incoraggiandolo a spingersi ancora oltre con la fantasia ... il contrasto tra le varie rappresentazioni di questi alberi (che sarà poi oggetto della restituzione) apre generalmente una panoramica estremamente significativa sull’immagine di sé”.

Nelle Tavole delle Macchie di Rorschach, è proprio la caratteristica di indefinitezza e ambiguità dello "stimolo" (la macchia, appunto, nella quale il soggetto è chiamato a “vedere” delle cose, spiegando quali caratteristiche della stessa lo hanno aiutato a vederle) a fare sì che la risposta costituisca una proiezione significativa del mondo interno del soggetto: meno strutturato è lo stimolo e meno obbligata, meno guidata, meno suggerita sarà la risposta e quindi più ricca di informazioni sulla struttura ed i contenuti dello psichismo di colui che sta lavorando all'interpretazione dello stimolo stesso.

Alcune correnti di pensiero imputano ai test proiettivi scarsa validità/attendibilità (al punto da non considerarli propriamente test, ma piuttosto “tecniche”), mentre considerano “oggettivamente” affidabili gli strumenti che utilizzano il canale comunicativo verbale/numerico tipico dei Questionari composti da items rispetto ai quali il soggetto deve indicare la corrispondenza con se stesso (i suoi vissuti, i suoi comportamenti e i suoi sintomi) nei termini di vero/falso (con diverse gradualità, corrispondenti ad altrettanti punteggi).

Com’è noto, sono disponibili in letteratura numerosi studi a favore dell’uno o dell’altro punto di vista, e sarebbe inutile proporne qui una rassegna.

Vorrei semplicemente fare una riflessione, tanto basica/ovvia quanto, a mio parere, sottovalutata:

  • è vero che la standardizzazione delle procedure di assegnazione dei punteggi nei Questionari (e la conseguente descrizione/diagnosi di personalità), per la sua automaticità, assicura la “oggettività” del risultato, cioè del profilo che emerge ... ma è altrettanto vero che il contenuto esplicito degli items offre al soggetto la possibilità di dare risposte non autentiche/non corrispondenti alla sua realtà interiore: per molte ragioni, anche al di là delle sue migliori intenzioni, la persona può essere indotta a presentare una immagine di sé ritenuta in qualche modo più “giusta/conveniente/accettabile”
  • nei test proiettivi invece, la risposta del soggetto è sicuramente autentica perché non gli è possibile immaginare quale sarà la valutazione/il significato che il testista attribuirà alle sue risposte; è noto inoltre che la forza comunicativa delle immagini è maggiore rispetto a quella delle parole, e non risente del fatto che persone diverse possono dare alle stesse parole sfumature di significato diverse, condizionando di conseguenza la risposta agli items che le contengono; è evidente comunque che la siglatura/l’interpretazione di un test proiettivo, richieste un testista adeguatamente formato ed esperto.

Cosa ricerchiamo dunque in uno strumento psicodiagnostico? la capacità di far emergere i contenuti più profondi del mondo interno/di descrivere adeguatamente le diverse sfumature di una personalità ... oppure la comoda e potenzialmente deresponsabilizzante semplicità di somministrazione/siglatura/interpretazione?

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