La nera depressione e il Confine del Sé
Elementi prognostici ed esperienze traumatiche emersi dal protocollo del Test I.Co.S. (Indice del Confine del Sé) in un caso di Depressione Maggiore Ricorrente. Articolo pubblicato da Psiconline Formazione il 18 aprile 2019
Com’è noto, l’umore depresso può far parte, con varie intensità e modalità, di diversi quadri psicodiagnostici. Le sensazioni ed i vissuti tipicamente associati a quel "vedere tutto nero” che caratterizza lo stato depressivo, possono essere sintetizzati così:
- pessimismo di fondo (tutto appare brutto, o inutile, o privo di senso, o penosamente ineluttabile)
- stanchezza ed apatìa (strettamente legate al pessimismo: se non si vede niente di bello e di utile, che ragione c’è di fare le cose?)
- dolore morale e voglia di piangere, anche in assenza di un motivo precisamente identificabile
- tendenza all'isolamento e alla chiusura (nulla di ciò che è fuori appare desiderabile, attraente o consolante: il mondo esterno è pervaso dalla stessa desolazione che opprime il mondo interno)
- senso di vuoto e di perdita (la perdita può essere attuale e facilmente identificabile ... oppure lontana nel tempo e nascosta, così da far apparire "inspiegabile" questo “mantello nero” che arriva "all'improvviso, chissà da dove e chissà perché" ad avvolgere ogni cosa
- sensazione (più o meno vaga) di colpevolezza, anche in assenza di una responsabilità precisamente identificata/identificabile.
In alcuni casi tutto questo può essere accompagnato da un senso di profonda inquietudine ed ansietà.
Il Test I.Co.S. (vedere la pagina dedicata nella sezione “MI PRESENTO” di questo sito) descrive elettivamente lo stile di gestione delle relazioni dentro/fuori (mondo interno/mondo esterno) e tra le parti interne, individuando 7 tendenze di base: Isolamento, Dipendenza, Selettività/Rispetto, Suscettibilità/Diffidenza, Aggressività, Mobilità/Mutevolezza, Fragilità/Esposizione; tuttavia l’esperienza clinica ha ampiamente dimostrato come in alcuni casi dalle verbalizzazioni dei pazienti possano emergere altri elementi di valutazione fondamentali: nel caso che descriverò, il Test, oltre a mostrare chiari segni di prognosi sfavorevole, ha anche permesso di risalire ad un antico trauma non elaborato.
La situazione
Pamela, 41 anni, è sposata con un uomo che lei stessa definisce “un marito eccezionale” ed ha due figlie “brave ed affettuose” di 19 e 17 anni; soffre da diversi anni di un Disturbo Depressivo Maggiore/Ricorrente, decisamente resistente alle terapie farmacologiche (prescrizioni diverse fornite da psichiatri diversi, oltre ad un paio di ricoveri, non hanno portato cambiamenti sostanziali nella situazione di Pamela); inoltre negli ultimi anni è aumentato un sovrappeso che aveva avuto il suo esordio, in forma più lieve, in adolescenza.
Anche la madre di Pamela soffre di depressione: “praticamente da sempre -spiega lei- almeno da quando mi ricordo” ... e da sempre Pamela (unica figlia femmina con due fratelli minori) ha cercato, come poteva, di sostenerla: ora, dice il marito, “Pamela e sua madre non fanno che parlare ogni giorno della loro depressione”.
Il padre di Pamela era un uomo duro e violento, che usava le botte per ottenere “rispetto ed obbedienza” dalla moglie e dai figli ... ma di fatto se la prendeva soprattutto con Pamela: la madre non è mai riuscita a proteggere né i figli né se stessa (non sappiamo neanche se ci abbia davvero provato).
Pamela da tempo non ha più la forza di occuparsi adeguatamente della sua casa e della sua famiglia: la quotidianità pratica è sbrigata quasi completamente dalle figlie e dal marito; sul piano psicologico Pamela cerca in particolare il sostegno della figlia maggiore, mentre l’intimità con il marito è quasi inesistente.
Il Test del Confine
Il Confine di Pamela è caratterizzato dalle punte: “sembra una stella”, spiega lei; in realtà è soprattutto una corazza “pungente” ... o meglio, una barriera con una capacità difensiva e di attacco del tutto virtuale, evocata ma non reale: il confine infatti la avvolge “come un mantello”, ma è fatto di “ovatta: morbida, candida, ricorda la neve che mi piace tanto” dice Pamela, che associa la neve al Natale.
Il Confine peggiore ha una struttura molto massiccia che presenta però 3 aperture: insomma, una barriera che vorrebbe essere impenetrabile ma presenta delle falle; a Pamela non piace “perché è interrotta ... mi dà fastidio vedere queste interruzioni”.
Il Confine migliore è proprio la “corazza pungente”, cioè il suo.
Durante la restituzione ricordo a Pamela che nella seduta precedente mi aveva detto che di solito il Natale la rende particolarmente triste, e lei mi risponde: “E’ vero, mi piacerebbe tanto, ma poi mi viene sempre la depressione. Tanti anni fa, proprio di Natale, ho perso il bambino che aspettavo”; mi racconta quindi di come, poco dopo la nascita della sua prima figlia, arrivò imprevista una gravidanza che lei non ebbe la forza fisica e psicologica di portare avanti (come invece il marito avrebbe desiderato) e che decise quindi di interrompere; questa scelta le procurò però grandi sensi di colpa, che cercò di placare mettendo al mondo dopo poco la seconda figlia.
Dall’analisi del materiale emerge quanto segue:
- la barriera pungente, neutralizzata dal materiale inoffensivo, rappresenta efficacemente l’impotenza della piccola Pamela di fronte alla violenza del padre
- le punte nascoste dalla morbida ovatta testimoniano anche la rabbia inespressa/non confessabile e l’attacco mascherato sia alla madre (responsabile di non averla protetta e sostenuta) che al marito (per averla “costretta” ad essere madre anche al di sopra delle sue possibilità, ed averle lasciato tutta la responsabilità di rifiutare quello che sarebbe stato il loro secondo figlio)
- i bisogni orali frustrati sono evidenti, e reclamano soddisfazione: Pamela è vissuta in un ambiente affettivamente deprivato, con una madre incapace/impossibilitata a dare nutrimento, tanto richiedente quanto inconsolabile ... ed ora lei stessa è diventata a sua volta una madre molto poco nutriente, molto bisognosa di attenzione e di cure ma altrettanto impermeabile ad esse
- Pamela è del tutto incapace di perdonarsi l’interruzione di gravidanza
- le ferite dell’infanzia non sembrano guaribili
- la frustrazione e la rabbia non riescono ad essere elaborate ed utilizzate in modo funzionale: anche per effetto del suo senso di colpa, Pamela non trova un modo costruttivo per affermare e difendere le sue ragioni; il Test mostra che con ogni probabilità continuerà a farlo in modo sotterraneo, in sostanza punendo sia se stessa che i propri familiari.
L’epilogo
Dopo alcuni mesi dall’inizio della terapia, Pamela cambia di nuovo psichiatra e terapia farmacologica, ma senza risultati apprezzabili.
In questo quadro, un giorno arriva in seduta annunciando che “è accaduta una cosa bellissima, che però non c’è più”: la figlia maggiore ha scoperto di aspettare un bambino, ma ha deciso di interrompere la gravidanza ... la relazione con il fidanzato è stabile e soddisfacente, lui sarebbe pronto ad accogliere il bambino, ma la ragazza dice di non potersi permettere di avere un figlio ora che la madre ha tanto bisogno di lei: il padre, anch’egli favorevole alla nascita, non riesce a rassicurarla: seppure a malincuore, la decisione è presa.
Pamela, anche se con evidente imbarazzo, non riesce sulle prime a nascondere il suo sollievo di poter continuare a contare sulla figlia.
Dopo poco però si rende necessario per Pamela un nuovo ricovero; anche se non lo dice probabilmente neanche a se stessa, la vicenda della figlia le sta facendo rivivere il vecchio dramma, e lei cerca di “scappare” dal senso di colpa: di nuovo sente che un figlio è stato sacrificato ai suoi bisogni ... quei bisogni che le appaiono tanto illegittimi quanto irrinunciabili.
Dopo le dimissioni, Pamela interrompe la psicoterapia e trova una sua dimensione all’interno di un Centro Diurno. Non è guarita dalla depressione, mi racconta dopo qualche tempo, ma lì fa delle attività creative che le piacciono; un giorno viene a salutarmi, mi chiama “la mia psicologa preferita” e mi porta in regalo un bell’oggetto costruito da lei: al nero dolore, troppo penoso da affrontare con le parole, Pamela risponde dando vita con le sue mani a cose belle piene di colore.
Possiamo sperare che con il tempo Pamela riesca finalmente a perdonarsi, comprendendo che la fragilità e il bisogno non possono mai essere considerati una colpa.