Note sul problema della conoscenza in psicologia

A proposito della soggettività della conoscenza ...

di Loretta Sapora

 

Nella psicologia della seconda parte di questo secolo il termine "conoscenza" è venuto sempre più acquisendo il senso di "costruzione di una rappresentazione soggettiva della realtà", dove l'espressione "soggettiva" mette in risalto la centralità dell'Io come istanza che organizza ed interpreta la molteplicità dei dati forniti dall'esperienza, integrandoli in un sistema coerente.

Questo passaggio, dall'idea di una obiettività della conoscenza fondata sulla concezione della sensazione come immagine speculare dello stimolo, al concetto di conoscenza della realtà come processo del quale l'Io è il protagonista come colui che "fissa le regole", avviene soprattutto grazie alla rivalutazione dei processi cognitivi dell'Io compiuta ad opera del movimento cognitivista, che prende forma come tale con l'opera "Psicologia cognitiva"  di Ulric Neisser (1967) e che descrive l'Io come colui che, tra l'altro, sceglie, tra i numerosi dati disponibili, quelli su cui portare l'attenzione.

Già prima del contributo di Neisser, tuttavia,  altri Autori, tra cui D.O. Hebb (1949, 1965) avevano gettato le basi del nuovo modello provvedendo ad una sorta di ampliamento dello schema classico comportamentale secondo il quale il comportamento umano può essere studiato nei termini di stimoli e risposte da essi prodotte: Hebb portò l'attenzione sui processi interni mentali che si collocano tra lo stimolo e la riposta (le cosiddette variabili intervenienti).

            Con Neisser, questi processi vengono descritti come "schemi" che, nel processo percettivo, guidano l'esplorazione dell'ambiente e sono al tempo stesso suscettibili di essere mutati dalle nuove informazioni acquisite.

In "Conoscenza e realtà" (1976) egli dice: " anche se la percezione non cambia il mondo, cambia però il percettore...lo schema subisce quello che Piaget chiama l'accomodamento, e così avviene al percettore. Egli è diventato ciò che è in virtù di ciò che ha percepito (e fatto) nel passato; egli crea ancora e cambia se stesso in base a ciò che percepisce e fa nel presente...La possibilità di ciascuno di percepire e agire sono del tutto uniche, perché nessun altro occupa esattamente la sua posizione nel mondo o ha esattamente la sua storia".

Tuttavia ciò non significa che l'individuo vede "le rappresentazioni interne anziché gli oggetti reali", perché in effetti "costruendo uno schema anticipatore il percettore si impegna in un'azione che implica, oltre ai propri meccanismo cognitivi, le informazioni ambientali. Egli cambia in base all'informazione che raccoglie, e il cambiamento non sta nel costruire una replica interiore laddove non esisteva prima, bensì nell'alterazione dello schema percettivo cosicché l'azione successiva sarà svolta in maniera diversa".

            Si può osservare dunque che, in questo contesto, il concetto di soggettività della conoscenza non è da intendersi come limite all'efficacia della stessa, ma come condizione imprescindibile; non è pensabile, in effetti, una conoscenza in assenza di un soggetto conoscitore e di strategie di analisi dei dati da esso elaborate.

            Nel suo lavoro "La costruzione della realtà", Marta Olivetti Belardinelli (1978) afferma che la costruzione del reale non riguarda solo l'acquisizione dei dati assunti attraverso le tecniche di ricerca, ma anche l'interpretazione dei dati stessi; l'Autrice riporta le osservazioni degli autori del primo periodo del New Look, secondo i quali già l'attenzione non ha una distribuzione uniforme a tutte le fonti di stimolo presenti nell'ambiente e si fa strada la tendenza a "reinterpretare la percezione come un'ipotesi prescelta e accettata dall'organismo tra le molte che è possibile formulare in presenza degli indizi che costituiscono la stimolazione sensoriale"; in questo contesto, la motivazione è considerata un fattore che influenza la formulazione delle ipotesi".

Neisser, in "Conoscenza e realtà", afferma che sia il rinforzo che le motivazioni e le aspettative del soggetto influenzano le sue azioni (e quindi il processo percettivo, che è un'azione a tutti gli effetti).

D'altra parte la psicoanalisi ha ampiamente mostrato come le dinamiche pulsionali (dunque i bisogni e i desideri) guidano il comportamento umano ed il significato che l'individuo attribuisce ai dati della realtà; ne consegue che, mentre un individuo psicologicamente sano sarà in grado di costruire una rappresentazione della realtà efficace perché aderente ad essa e capace di agire efficacemente su di essa ("Un individuo che esegue una prestazione qualificata fa parte del mondo, agisce su di esso e questo agisce su di lui", Neisser 1976), un individuo psicotico costruirà una rappresentazione della realtà malata, modellata sui suoi moti pulsionali e non sui dati reali.

La psicosi consiste infatti, tra l'altro, nell'incapacità di gestire la propria pulsionalità e di stabilire un confine chiaro tra mondo esterno e  mondo interno, il quale ultimo continuamente "esce dagli argini" e pervade di sé la realtà esterna deformandola; nell'individuo sano, motivazioni desideri e bisogni agiscono sì, ma  stimolandolo a mettere a punto, in modo creativo ed originale, strategie sempre più efficaci di rapporto con essa, che si adeguino sempre meglio al raggiungimento delle sue mete.

            Un concetto di conoscenza che pretendesse di eliminare la soggettività creativa individuale porterebbe inevitabilmente ad un artificioso impoverimento dell'uomo e delle sue facoltà.

Artificiosa è infatti un'idea della conoscenza che non preveda un soggetto che conosce ed irrealistica è la visione di un essere umano che non elaborata e non interpreta ciò che percepisce, che ha non mete da raggiungere e non stabilisce regole da seguire nell'osservazione della realtà.

L'idea che la conoscenza debba essere oggettiva si può quindi abbandonare senza timore di dover rinunciare alla verità, perché quest'ultima può contenere tanti diversi punti di vista soggettivi per quante sono le personalità che possono essere contenute nella definizione di "normale" o, se si preferisce, in quella di "sufficientemente sana".

 

Bibliografia citata

- U. Neisser "Cognitive Psychology", N.Y. Appleton Century Crofts (Psicologia cognitivista, Firenze, Martello-Giunti, 1976)

- U. Neisser "Conoscenza e realtà", Universale Paperbacks, Il Mulino, Bologna 19881

- M. Olivetti Belardinelli "La costruzione della realtà",  Boringhieri, Torino 1978

- D.O. Hebb (1949, 1965) cit. in: P. Legrenzi "Storia della psicologia", Il Mulino, Bologna 1982)

- C.L. Musatti "Condizioni dell'esperienza e fondazione della psicologia", Giunti-Barbera, Firenze 1964

 

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